Amedeo VI di Savoia (Conte Verde)
Amedeo VI è nato il 4 gennaio 1334 a Chambery dal conte Aimone di Savoia detto Il Pacifico e da Violante Paleologa (o Iolanda di Monferrato). Nel 1340 il padre di Amedeo VI ha già firmato un contratto, approvato da Filippo VI, per il matrimonio futuro di suo figlio con Giovanna di Borbone, figlia del duca Pietro I di Borbone e della principessa Isabella Valloise, nipote del re di Francia.
Nel 1343 (a soli 9 anni, già orfano di madre da circa 1 anno) succede al padre, il quale nel testamento nomina come tutori 2 suoi cugini: Ludovico 2° di Savoia-Vaud, e Amedeo 3° conte di Ginevra, assistiti da un consiglio di reggenza sino alla maggiore età, che all’epoca corrispondeva all’età di 14 anni. Già nei primi mesi i vari vassalli vengono dal giovane conte a portare i loro omaggi e giurare fedeltà. Tra essi, però non c’è Giacomo d’Acaia, che manda i suoi ambasciatori a Chambery solo nel 1344, ma senza presentare il dovuto omaggio.
All’epoca il colore verde era considerato un potente protettore da malattie e avversità naturali. Al conte piaceva quel colore di cui si vestiva già anche prima. Le cronache registrano la prima apparizione del conte di Savoia – e di tutto il suo seguito - in verde ad un torneo organizzato nel 1353 a Bourg en Bresse per una giostra di 3 giorni con 12 novelli cavalieri, tra essi il Conte Verde. All’aprirsi della giostra tutti i cavalieri erano in vestiti verdi, i cavalli con zendali verdi, accompagnati da dame vestite in seta verde, selle, guarnizioni, cordoni, tutto quanto di colore verde. E’ qui che gli viene dato il nome di “Conte Verde”. Per tutta la vita poi resta fedele al suo colore sia per i vestiti, finimenti per i cavalli, sia per le tappezzerie da camera, le tende per il campo, le tende che coprivano la nave del Conte nella Crociata del 1366. Menestrelli, paggi, cavalieri che lo accompagnavano erano vestiti di verde. Prima fu un capriccio, e poi desiderio di distinguersi. Così era facile per chiunque riconoscerlo.
Portatore di una complessa personalità, dall’età di nove anni fino quarantacinque, rispettò il voto di digiuno al venerdì e sabato e di astensione da carne e pesce al mercoledì, lavando ogni venerdì santo i piedi a dodici poveri; dando il pranzo a 20 poveri una volta al mese e rivestendoli completamente nelle solennità di Ognissanti. Fece dure penitenze; compiendo frequenti pellegrinaggi ed elargendo doni ai monaci, pur amando la caccia, le giostre, il gioco d’azzardo e gli scacchi; ricorrendo a prestiti, e pretendendo a Corte la presenza di menestrelli, giocolieri e giullari e tessendo romantiche e appassionate avventure sentimentali.
Ai tutori si presenta il difficile rapporto con il Delfinato. Entrambi gli stati hanno vari possedimenti nel territorio dell’altro, e vorrebbero unirli. Essi cercano alleanza e conducono trattative segrete con la Corte di Londra, ma poi abbandonano il progetto, perché non era più possibile un atteggiamento antifrancese. Confinante con la Savoia c’era il ducato di Borgogna. Era probabile che Giovanna di Borgogna diventasse ereditiera del ducato, perciò nel 1347 viene firmato un trattato di alleanza e accordo di nozze, dopo un paio di mesi, che Amedeo VI firma un atto del notaio in cui dichiara di non voler sapere di un matrimonio stabilito senza di lui e per lui, rifiutando le nozze con Giovanna di Borbone. Sembra che Amedeo 3° di Ginevra non fosse d’accordo.
Il Delfinato passò sotto il re di Francia alla fine degli anni 40, per cui era meglio avere la Francia come alleato, che come nemico. A questo punto le pulsioni espansionistiche si spostarono verso l’Italia, e più precisamente verso il Piemonte.
Tredicenne appena, il principe si recò con una forte schiera in aiuto del cugino Giacomo di Savoia, principe d'Acaia e signore del Piemonte, allora in guerra contro i marchesi di Monferrato e di Saluzzo, nonché i visconti, e per lui combattendo valorosamente, così da contribuire alla conquista di Cherasco e ad una notevole vittoria sui Monferrini (1347).
Durante tutto il suo regno i contrasti tra queste 4 potenze permangono, e guerreggiano tra di loro con alterne vicende, cercando alleati nel papa e nel re di Francia, ma anche di fare la pace con diversi trattati e matrimoni combinati, come quella di sua sorella Bianca – che ha 2 anni meno di lui e sposa Galeazzo Visconti, il signore della Lombardia nel 1350. Nell’occasione si tiene un magnifico torneo. I cavalieri che lo bandiscono si chiamano Cavalieri del Cigno nero – avevano sulle armi e sugli abiti come distintivo un cigno nero con le zampe e il becco rosso.
Malgrado le contraddizioni, egli fu personaggio di prima grandezza nel panorama politico del tempo e tenne sempre ben separate le inclinazioni mondane da quelle derive mistiche che non gli impedirono, nell’aprile del 1354, di costringere all’obbedienza il Signore di Domolieu e gli insorti del castello di Aigle, uccidendone i ribelli; legando i sopravvissuti l’uno all'altro e trascinandoli, a monito, in tutti i borghi contigui; restaurando l’ordine con la vittoriosa battaglia di Abrèts; contraendo la pace, nell’anno successivo, sulla base di ampie concessioni alla Monarchia franca cui cedette le terre del conteso Delfinato, in cambio del controllo della Provincia del Faucigny e della Signoria di Gex (trattato di Parigi del 1355).
Sempre questo trattato tra il re di Francia Giovanni II e Amedeo VI di Savoia prevedeva il matrimonio di Bona di Borbone con il giovane conte sabaudo, che, oltre a garantire il proprio appoggio contro l'Inghilterra e a regolare questioni di confine con il Delfinato diventando un blocco compatto dalle frontiere chiaramente delineate, rinunciava a sposare Giovanna di Borgogna, già sua fidanzata dal 1347, e la quale viene chiusa in un monastero.
Bona di Borbona era la sorella di quella Giovanna che egli rifiutò di sposare qualche anno prima, e la quale invece ha sposato il futuro re Carlo V di Francia, quindi diventarono cognati. Il matrimonio con Bona fu celebrato a Parigi - in presenza del re, zio di Bona da parte della madre - per procura nel settembre 1355 mentre Amedeo VI andò con l’esercito contro gli inglesi. In dicembre gli sposi si incontrano poi a Chambery. D’ora in avanti tocca a Bona la reggenza dello Stato Sabaudo nei lunghi periodi in cui il Conte è via per le guerre, dimostrando ampiamente le sue capacità e fermezza.
Amedeo VI sempre nel 1355 riorganizzò lo stato con un decreto a somiglianza del parlamento di Parigi, e nel 1379 emise uno Statuto ci circa 70 articoli riguardanti il Consiglio di Savoia, l’autorità dei castellani e degli altri funzionari, i notai e l’amministrazione della giustizia. Una giustizia uguale per tutti i sudditi indipendentemente dalla loro religione ed il loro censo. Aveva istituito il patrocinio gratuito per gli indigenti; sospeso la barbara usanza del duello giudiziario; mantenuto una condotta inflessibile con la Chiesa. Pur essendo, infatti, assai religioso e fondatore di conventi, non cedette mai alle sue prevaricazioni quando in gioco ci furono i diritti dei Principi, sostenuti con fermo rigore anche dall’amatissima consorte, intelligente e degna per la forza d'animo, il coraggio e la saggezza.
Nel 1356 un lungo conflitto impegnò Amedeo VI contro i cugini Principi di Acaja, solo dopo tre anni, tratto prigioniero, Giacomo d’Acaja recedette dalle sue velleità ed accettò di giurare fedeltà, ottenendo a titolo di feudo la Signoria del Piemonte. Fedeltà che non durò a lungo, perciò la lotta comunque continuò sfociando in un accordo gravoso. Giacomo sposò in seconde nozze Margherita di Beaujeu, che stava a cuore di Amedeo VI. Con la nascita del figlio di secondo letto, il primo genito Filippo venne disereditato, per cui la feroce lotta di Filippo per il potere dopo la morte di Giacomo. Ma Amedeo VI – per la verità con inganno – neutralizzò Filippo, e portò nella sua corte i figli di Margherita per essere allevati da lui e Bona, mente Margherita si ritirò in convento. Affermò così la sua autorità sul ramo collaterale dei Savoia-Acaia e poi sui marchesi di Saluzzo, coltivando amichevoli relazioni coi Visconti.
Ancora negli anni intensi dal 1362 al 1365, succeduto nel 1347 a Ludovico il Bavaro, l’Imperatore Carlo IV, in transito da Chambéry verso Avignone ove avrebbe raggiunto il papa Urbano V, dopo avergli già concesso alcuni privilegi, investì Amedeo VI del Vicariato imperiale in Savoia, con giurisdizione estesa anche ai suoi successori sull'Università di Ginevra e nelle Diocesi di Sìon, Losanna, Ginevra, Aosta, Ivrea, Torino e con diritto d’intervento negli affari locali.
Nell’aprile 1364 vinto il Marchese di Saluzzo, accordandosi col Marchese di Monferrato, Amedeo VI festeggiò la pace con una giostra tenutasi a Chambery. I tenitori della giostra presero stavolta la divisa di un collare d’argento dorato con 3 lacci d’amore e la scritta “FERT” (=Fortitudo Eius Rhodum Tenuit). 15 cavalieri in tutti, tra cui il Conte Verde e tutti vestiti in verde. Probabilmente da qui l’origine dell’Ordine del Collare - diventato più tardi della Santissima Annunziata - al quale diede poi le regole e uno statuto.
In questi anni i turchi avanzano nei Balcani verso l’Europa. L’Ungheria sola rivolge lo sguardo verso questi avvenimenti. Quando il sultano minaccia Costantinopoli, l’imperatore bizantino - Giovanni V Paleologo (figlio di Anna di Savoia, quindi il Conte Verde cugino dell’imperatore) chiede aiuto all’Europa e al Papa. All’appello del papa (che voleva l’abiura dall’imperatore bizantino e del suo popolo) risposero solo il re di Cipro, Amedeo VI di Savoia e il re di Francia Giovanni II. La crociata doveva partire il 1 marzo 1365. Il re di Francia però morì l’8 aprile 1364 a Londra, e le concessioni finanziarie furono revocate. Alla fine comunque Il Conte Verde decise di partire noleggiando a proprie spese le galee veneziane. Il re d’Ungheria – Luigi I° il Grande - a sua volta sarebbe sceso dal Danubio per premere gli infedeli dal settentrione (guerra in Bulgaria 1366-1367). Nel 1366 Amedeo VI riconquistò Gallipoli con un eroico assalto, riconquistò i Dardanelli e la costa del Mar Nero, e riuscì a liberare Giovanni V Paleologo caduto in prigionia dei bulgari. (L’imperatore venne l’anno successivo davanti al Papa per abiurare – come promesso al Conte Verde - però solo a titolo personale e non anche del suo popolo, il quale non voleva rinunciare alla propria fede).
Questa impresa aveva accresciuto il suo prestigio, ormai era leggendario. Dal papa ricevette lodi e onori.
Tuttavia, dopo qualche anno, per proteggere gli interessi familiari, fu costretto a battersi con i Visconti il cui espansionismo minacciava di estendersi al Monferrato. Eletto Capitano supremo della Lega cui aderirono anche Chiesa ed Impero, contro l’ambizione di Galeazzo, il Conte Verde riportò una serie di trionfi enfatizzati dalla battaglia di Gavardo dell’8 maggio del 1373. In quegli stessi anni, contraendo alleanze di comodo, consolidò il suo prestigio e i suoi possedimenti acquisendo Biella, Cuneo e Santhià; ricorse ad azioni diplomatiche e militari utili a compattare i confini e ad estendere la propria giurisdizione da Chillon a Ginevra, da Aosta e Ivrea a Torino, dalla valle di Susa alla Tarantasia e alla Moriana; allungò il suo dominio fino a Cuneo. Sotto il suo governo il Piemonte conobbe un periodo di splendore e di gloria mai visti prima dai tempi di Arduino d'Ivrea.
Il felice esito delle sue iniziative lo investì della fama di potente Signore e di audace combattente, accendendo attorno alla sua figura un’aura epica. Nel 1381 fu chiamato a fare da arbitro tra le Repubbliche di Venezia e di Genova che guerreggiavano tra loro da 3 anni per la supremazia in Oriente. Egli pronunciò una sentenza condivisa dai belligeranti e ritenuta un capolavoro di saggezza politica. La pace solennemente conclusa fra le due parti, portò Amedeo VI di Savoia all’apogeo della gloria.
La sua ultima impresa fu una spedizione nell'Italia meridionale, come alleato di Lodovico d'Angiò esigente sostegno per la conquista del Regno di Napoli; ma la campagna fu vanificata dal decesso dei due alleati: il Conte Verde si spense di peste, fra atroci sofferenze, il 1° marzo 1383, in Santo Stefano del Molise e le sue spoglie imbalsamate furono trasportate per mare da Pozzuoli a Savona, per essere definitivamente composte ad Hautecombe.
Nelle disposizioni testamentarie, dettate poco prima della morte il 27 febbraio 1383, il conte aveva nominato il figlio Amedeo erede universale dello stato; volendogli però garantire l'assistenza della madre, aveva dichiarato Bona Borbone usufruttuaria, governatrice ed amministratrice del comitato per tutta la vita, purché non passasse a nuove nozze.
Nel 1343 (a soli 9 anni, già orfano di madre da circa 1 anno) succede al padre, il quale nel testamento nomina come tutori 2 suoi cugini: Ludovico 2° di Savoia-Vaud, e Amedeo 3° conte di Ginevra, assistiti da un consiglio di reggenza sino alla maggiore età, che all’epoca corrispondeva all’età di 14 anni. Già nei primi mesi i vari vassalli vengono dal giovane conte a portare i loro omaggi e giurare fedeltà. Tra essi, però non c’è Giacomo d’Acaia, che manda i suoi ambasciatori a Chambery solo nel 1344, ma senza presentare il dovuto omaggio.
All’epoca il colore verde era considerato un potente protettore da malattie e avversità naturali. Al conte piaceva quel colore di cui si vestiva già anche prima. Le cronache registrano la prima apparizione del conte di Savoia – e di tutto il suo seguito - in verde ad un torneo organizzato nel 1353 a Bourg en Bresse per una giostra di 3 giorni con 12 novelli cavalieri, tra essi il Conte Verde. All’aprirsi della giostra tutti i cavalieri erano in vestiti verdi, i cavalli con zendali verdi, accompagnati da dame vestite in seta verde, selle, guarnizioni, cordoni, tutto quanto di colore verde. E’ qui che gli viene dato il nome di “Conte Verde”. Per tutta la vita poi resta fedele al suo colore sia per i vestiti, finimenti per i cavalli, sia per le tappezzerie da camera, le tende per il campo, le tende che coprivano la nave del Conte nella Crociata del 1366. Menestrelli, paggi, cavalieri che lo accompagnavano erano vestiti di verde. Prima fu un capriccio, e poi desiderio di distinguersi. Così era facile per chiunque riconoscerlo.
Portatore di una complessa personalità, dall’età di nove anni fino quarantacinque, rispettò il voto di digiuno al venerdì e sabato e di astensione da carne e pesce al mercoledì, lavando ogni venerdì santo i piedi a dodici poveri; dando il pranzo a 20 poveri una volta al mese e rivestendoli completamente nelle solennità di Ognissanti. Fece dure penitenze; compiendo frequenti pellegrinaggi ed elargendo doni ai monaci, pur amando la caccia, le giostre, il gioco d’azzardo e gli scacchi; ricorrendo a prestiti, e pretendendo a Corte la presenza di menestrelli, giocolieri e giullari e tessendo romantiche e appassionate avventure sentimentali.
Ai tutori si presenta il difficile rapporto con il Delfinato. Entrambi gli stati hanno vari possedimenti nel territorio dell’altro, e vorrebbero unirli. Essi cercano alleanza e conducono trattative segrete con la Corte di Londra, ma poi abbandonano il progetto, perché non era più possibile un atteggiamento antifrancese. Confinante con la Savoia c’era il ducato di Borgogna. Era probabile che Giovanna di Borgogna diventasse ereditiera del ducato, perciò nel 1347 viene firmato un trattato di alleanza e accordo di nozze, dopo un paio di mesi, che Amedeo VI firma un atto del notaio in cui dichiara di non voler sapere di un matrimonio stabilito senza di lui e per lui, rifiutando le nozze con Giovanna di Borbone. Sembra che Amedeo 3° di Ginevra non fosse d’accordo.
Il Delfinato passò sotto il re di Francia alla fine degli anni 40, per cui era meglio avere la Francia come alleato, che come nemico. A questo punto le pulsioni espansionistiche si spostarono verso l’Italia, e più precisamente verso il Piemonte.
Tredicenne appena, il principe si recò con una forte schiera in aiuto del cugino Giacomo di Savoia, principe d'Acaia e signore del Piemonte, allora in guerra contro i marchesi di Monferrato e di Saluzzo, nonché i visconti, e per lui combattendo valorosamente, così da contribuire alla conquista di Cherasco e ad una notevole vittoria sui Monferrini (1347).
Durante tutto il suo regno i contrasti tra queste 4 potenze permangono, e guerreggiano tra di loro con alterne vicende, cercando alleati nel papa e nel re di Francia, ma anche di fare la pace con diversi trattati e matrimoni combinati, come quella di sua sorella Bianca – che ha 2 anni meno di lui e sposa Galeazzo Visconti, il signore della Lombardia nel 1350. Nell’occasione si tiene un magnifico torneo. I cavalieri che lo bandiscono si chiamano Cavalieri del Cigno nero – avevano sulle armi e sugli abiti come distintivo un cigno nero con le zampe e il becco rosso.
Malgrado le contraddizioni, egli fu personaggio di prima grandezza nel panorama politico del tempo e tenne sempre ben separate le inclinazioni mondane da quelle derive mistiche che non gli impedirono, nell’aprile del 1354, di costringere all’obbedienza il Signore di Domolieu e gli insorti del castello di Aigle, uccidendone i ribelli; legando i sopravvissuti l’uno all'altro e trascinandoli, a monito, in tutti i borghi contigui; restaurando l’ordine con la vittoriosa battaglia di Abrèts; contraendo la pace, nell’anno successivo, sulla base di ampie concessioni alla Monarchia franca cui cedette le terre del conteso Delfinato, in cambio del controllo della Provincia del Faucigny e della Signoria di Gex (trattato di Parigi del 1355).
Sempre questo trattato tra il re di Francia Giovanni II e Amedeo VI di Savoia prevedeva il matrimonio di Bona di Borbone con il giovane conte sabaudo, che, oltre a garantire il proprio appoggio contro l'Inghilterra e a regolare questioni di confine con il Delfinato diventando un blocco compatto dalle frontiere chiaramente delineate, rinunciava a sposare Giovanna di Borgogna, già sua fidanzata dal 1347, e la quale viene chiusa in un monastero.
Bona di Borbona era la sorella di quella Giovanna che egli rifiutò di sposare qualche anno prima, e la quale invece ha sposato il futuro re Carlo V di Francia, quindi diventarono cognati. Il matrimonio con Bona fu celebrato a Parigi - in presenza del re, zio di Bona da parte della madre - per procura nel settembre 1355 mentre Amedeo VI andò con l’esercito contro gli inglesi. In dicembre gli sposi si incontrano poi a Chambery. D’ora in avanti tocca a Bona la reggenza dello Stato Sabaudo nei lunghi periodi in cui il Conte è via per le guerre, dimostrando ampiamente le sue capacità e fermezza.
Amedeo VI sempre nel 1355 riorganizzò lo stato con un decreto a somiglianza del parlamento di Parigi, e nel 1379 emise uno Statuto ci circa 70 articoli riguardanti il Consiglio di Savoia, l’autorità dei castellani e degli altri funzionari, i notai e l’amministrazione della giustizia. Una giustizia uguale per tutti i sudditi indipendentemente dalla loro religione ed il loro censo. Aveva istituito il patrocinio gratuito per gli indigenti; sospeso la barbara usanza del duello giudiziario; mantenuto una condotta inflessibile con la Chiesa. Pur essendo, infatti, assai religioso e fondatore di conventi, non cedette mai alle sue prevaricazioni quando in gioco ci furono i diritti dei Principi, sostenuti con fermo rigore anche dall’amatissima consorte, intelligente e degna per la forza d'animo, il coraggio e la saggezza.
Nel 1356 un lungo conflitto impegnò Amedeo VI contro i cugini Principi di Acaja, solo dopo tre anni, tratto prigioniero, Giacomo d’Acaja recedette dalle sue velleità ed accettò di giurare fedeltà, ottenendo a titolo di feudo la Signoria del Piemonte. Fedeltà che non durò a lungo, perciò la lotta comunque continuò sfociando in un accordo gravoso. Giacomo sposò in seconde nozze Margherita di Beaujeu, che stava a cuore di Amedeo VI. Con la nascita del figlio di secondo letto, il primo genito Filippo venne disereditato, per cui la feroce lotta di Filippo per il potere dopo la morte di Giacomo. Ma Amedeo VI – per la verità con inganno – neutralizzò Filippo, e portò nella sua corte i figli di Margherita per essere allevati da lui e Bona, mente Margherita si ritirò in convento. Affermò così la sua autorità sul ramo collaterale dei Savoia-Acaia e poi sui marchesi di Saluzzo, coltivando amichevoli relazioni coi Visconti.
Ancora negli anni intensi dal 1362 al 1365, succeduto nel 1347 a Ludovico il Bavaro, l’Imperatore Carlo IV, in transito da Chambéry verso Avignone ove avrebbe raggiunto il papa Urbano V, dopo avergli già concesso alcuni privilegi, investì Amedeo VI del Vicariato imperiale in Savoia, con giurisdizione estesa anche ai suoi successori sull'Università di Ginevra e nelle Diocesi di Sìon, Losanna, Ginevra, Aosta, Ivrea, Torino e con diritto d’intervento negli affari locali.
Nell’aprile 1364 vinto il Marchese di Saluzzo, accordandosi col Marchese di Monferrato, Amedeo VI festeggiò la pace con una giostra tenutasi a Chambery. I tenitori della giostra presero stavolta la divisa di un collare d’argento dorato con 3 lacci d’amore e la scritta “FERT” (=Fortitudo Eius Rhodum Tenuit). 15 cavalieri in tutti, tra cui il Conte Verde e tutti vestiti in verde. Probabilmente da qui l’origine dell’Ordine del Collare - diventato più tardi della Santissima Annunziata - al quale diede poi le regole e uno statuto.
In questi anni i turchi avanzano nei Balcani verso l’Europa. L’Ungheria sola rivolge lo sguardo verso questi avvenimenti. Quando il sultano minaccia Costantinopoli, l’imperatore bizantino - Giovanni V Paleologo (figlio di Anna di Savoia, quindi il Conte Verde cugino dell’imperatore) chiede aiuto all’Europa e al Papa. All’appello del papa (che voleva l’abiura dall’imperatore bizantino e del suo popolo) risposero solo il re di Cipro, Amedeo VI di Savoia e il re di Francia Giovanni II. La crociata doveva partire il 1 marzo 1365. Il re di Francia però morì l’8 aprile 1364 a Londra, e le concessioni finanziarie furono revocate. Alla fine comunque Il Conte Verde decise di partire noleggiando a proprie spese le galee veneziane. Il re d’Ungheria – Luigi I° il Grande - a sua volta sarebbe sceso dal Danubio per premere gli infedeli dal settentrione (guerra in Bulgaria 1366-1367). Nel 1366 Amedeo VI riconquistò Gallipoli con un eroico assalto, riconquistò i Dardanelli e la costa del Mar Nero, e riuscì a liberare Giovanni V Paleologo caduto in prigionia dei bulgari. (L’imperatore venne l’anno successivo davanti al Papa per abiurare – come promesso al Conte Verde - però solo a titolo personale e non anche del suo popolo, il quale non voleva rinunciare alla propria fede).
Questa impresa aveva accresciuto il suo prestigio, ormai era leggendario. Dal papa ricevette lodi e onori.
Tuttavia, dopo qualche anno, per proteggere gli interessi familiari, fu costretto a battersi con i Visconti il cui espansionismo minacciava di estendersi al Monferrato. Eletto Capitano supremo della Lega cui aderirono anche Chiesa ed Impero, contro l’ambizione di Galeazzo, il Conte Verde riportò una serie di trionfi enfatizzati dalla battaglia di Gavardo dell’8 maggio del 1373. In quegli stessi anni, contraendo alleanze di comodo, consolidò il suo prestigio e i suoi possedimenti acquisendo Biella, Cuneo e Santhià; ricorse ad azioni diplomatiche e militari utili a compattare i confini e ad estendere la propria giurisdizione da Chillon a Ginevra, da Aosta e Ivrea a Torino, dalla valle di Susa alla Tarantasia e alla Moriana; allungò il suo dominio fino a Cuneo. Sotto il suo governo il Piemonte conobbe un periodo di splendore e di gloria mai visti prima dai tempi di Arduino d'Ivrea.
Il felice esito delle sue iniziative lo investì della fama di potente Signore e di audace combattente, accendendo attorno alla sua figura un’aura epica. Nel 1381 fu chiamato a fare da arbitro tra le Repubbliche di Venezia e di Genova che guerreggiavano tra loro da 3 anni per la supremazia in Oriente. Egli pronunciò una sentenza condivisa dai belligeranti e ritenuta un capolavoro di saggezza politica. La pace solennemente conclusa fra le due parti, portò Amedeo VI di Savoia all’apogeo della gloria.
La sua ultima impresa fu una spedizione nell'Italia meridionale, come alleato di Lodovico d'Angiò esigente sostegno per la conquista del Regno di Napoli; ma la campagna fu vanificata dal decesso dei due alleati: il Conte Verde si spense di peste, fra atroci sofferenze, il 1° marzo 1383, in Santo Stefano del Molise e le sue spoglie imbalsamate furono trasportate per mare da Pozzuoli a Savona, per essere definitivamente composte ad Hautecombe.
Nelle disposizioni testamentarie, dettate poco prima della morte il 27 febbraio 1383, il conte aveva nominato il figlio Amedeo erede universale dello stato; volendogli però garantire l'assistenza della madre, aveva dichiarato Bona Borbone usufruttuaria, governatrice ed amministratrice del comitato per tutta la vita, purché non passasse a nuove nozze.
Amedeo VI – il Conte Verde - nel 1358 inizia la costruzione del Castello di Ivrea, che si conclude nel 1395. Si trova a fianco delle sedi principali del potere politico e religioso medioevale: il Palazzo Vescovile ed il Comune (Palazzo della Credenza), in una posizione strategica per la sorveglianza sulla strada per la Valle d’Aosta, con funzione soprattutto difensive, con massiccia pianta quadrangolare e torri cilindriche. Mantiene questa funzione sino al 1700, quando viene adibito a carcere e rimane tale sino al 1970, poi abbandonato e chiuso al pubblico. Dopo diversi restauri viene dato in concessione al Comune dallo Stato, e aperto al pubblico in determinati periodi.
A cura di Caterina Alfoldi